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Verità tropicale

Verdade Tropical

Romanzo - Caetano Veloso - Brasile - 1997


Non mi ero mai occupato molto, prima di adesso, del Brasile e della cultura lusofona in generale. Se dall'Italia decidiamo di dirigerci, culturalmente parlando, verso ovest, è più facile inbattersi prima nella cultura spagnola, che dalla Spagna si estende poi a quasi tutto il continente centro e sudamericano, e così tutto ciò che riguarda il Portogallo ed il Brasile viene in qualche modo schermato, con tuttavia delle eccezioni importanti, che riguardano soprattutto la musica, universalmente nota, ed il cinema meno recente.
Già, ma che sappiamo della musica brasiliana, in fondo? Probabilmente la maggior parte delle persone avrà in mente una immagine piuttosto folcloristica, fatta di samba e di carnevale, di melodie accattivanti e di bellissime ballerine in succinti vestitini molto colorati. Ma basta approfondire un po' e si scopre una realtà tanto variegata quanto interessante.
Io ho sempre ascoltato molta musica classica ed anche molto jazz, ma ho anche sempre apprezzato la buona musica di tutti i generi e, di tanto in tanto, anche qualcosa di brasiliano, ma senza approfondire troppo. Tra tutti gli artisti brasiliani mi è sembrato interessante soprattutto Caetano Veloso e così quando ho visto in libreria il suo libro, l'acquisto è stato un gesto quasi automatico.
Questo libro è in pratica, la sua biografia, dove i fatti personali, raccontati talvolta solo per accenni e sempre con molto pudore si uniscono a dettagliate descrizioni del panorama culturale e musicale brasiliano, dagli anni cinquanta fino ai giorni nostri. Le nozioni che è possibile estrarne, per chi come me non sapeva quasi nulla di questo ambiente, sono davvero innumerevoli. È come la scoperta di un mondo nuovo, familiare e latino per molti aspetti, ma anche estraneo e soprendentemente straniante per molti altri.
Veloso nasce in una famiglia della piccola borghesia dello stato di Bahia, nella cittadina di Santo Amaro, dove trascorre l'infanzia e l'adolescenza, inizia prestissimo ad interessarsi alla musica, entra in contatto con il rock'n'roll, che lo lascia perplesso, si innamora delle canzoni di João Gilberto e va al cinema a commuoversi con i film americani, francesi e, soprattutto, italiani.
Quando finisce il ginnasio ed arriva il momento di andare al liceo classico ed all'università, si trasferisce a Salvador da Bahia, la capitale dello stato, insieme ad un fratello ed a sua sorella Maria Bethânia, che diventerà anch'essa una cantante famosa. È qui che Caetano inizia a scrivere canzoni, all'inizio quasi per gioco, si fidanza con Dedé, che sposerà di lì a poco, e si sposta poi a Rio de Janeiro, nell'aprile del 1966, ormai convinto a seguire la sua ispirazione di musicista.
Con la partecipazione ai festival televisivi arriva anche la fama, mentre continuano le intense frequentazioni con gli altri musicisti, i drammaturghi, i poeti ed i registi cinematografici. In effetti questa è una vera e propria autobiografia culturale dove non mancano riferimenti a quasi tutti i movimenti del novecento, dal surrealismo alla poesia concreta, dal cinema novo al maggio del '68, il tutto in stretta connessione con tutti gli stili musicali presenti in Brasile, dal farró alla samba alla bossa nova ed al tropicalismo, movimento musicale e culturale a cui normalmente viene associato il nome di Caetano.
Dopo un nuovo trasferimento nel centro di San Paolo, Caetano viene arrestato e portato in prigione. Anni prima, nel 1964, c'era stato infatti un colpo di stato militare, che però inizialmemente non aveva portato ad una repressione indiscriminata. Ma poi, nel 1969, una ulteriore svolta autoritaria portò ad una ondata di arresti, con tanto di desaparecidos, anche se in misura molto minore rispetto agli eventi del Cile ed dell'Argentina. Accusato di comportamenti blasfemi durante una rappresentazione teatrale (accuse che oltretutto furono subito dimostrate false, inventate di sana pianta da uno speaker della radio che voleva guadagnarsi l'appoggio della giunta), Caetano trascorre circa due mesi in prigione, nella continua insicurezza circa la sua sorte. Emblematico il racconto del giorno in cui fu portato all'aperto da guardie armate e, dopo aver temuto per una fucilazione improvvisata, fu condotto dal barbiere, che rasò a zero la sua lunga e folta chioma ribelle. Nel frattempo nel carnevale di Salvador tutti cantavano le sue canzoni e Caetano fu infine liberato, a condizione che lasciasse immediatamente il paese.
L'esilio a Londra, da cui ritornò tre anni dopo, fu a quanto pare molto proficuo per Veloso, che migliorò la sua tecnica chitarristica ed apprezzò molto la tecnologia degli avanzati studi di registrazione inglesi, pur non desiderando altro che di tornarsene nel suo Brasile appena possibile. Al ritorno, si ristabilì nella sua Salvador, pronto a continuare la sua carriera di compositore e cantante, ormai conosciuto in tutto il mondo.
Il racconto degli eventi è comunque in questo libro forse la cosa meno importante, perché ciò che colpisce, innanzitutto, è la descrizione vivida dei vari personaggi con cui Caetano si è rapportato. Di ognuno emerge il carattere, i riferimenti culturali, i tic, il ruolo ricoperto non solo all'interno del mondo musicale, ma nel panorama culturale del Brasile. Ed alcuni di loro sono davvero originali, volendo usare un eufemismo.
Così come è davvero originale il Brasile, isola lusofona circondata da paesi castigliani e che non a caso viene descritta dai libri di scuola come una vera e propria isola, scoperta quasi indipendentemente dal resto del Sud America, concetto su cui Caetano ironizza senza risparmio. Così come è peculiare il rapporto tra bianchi e neri, totalmente diverso da quello degli Stati Uniti e del Sud Africa o dei paesi europei: per quanto non manchino anche forme di razzismo, a quanto pare nessuno in Brasile si sente totalmente bianco o totalmente nero. Lo stesso Caetano si definisce ironicamente "un mulatto abbastanza bianco da essere considerato bianco anche a São Paulo", la città più industriale ed europea del Brasile, mentre il suo miglior amico, il cantautore Gilberto Gil, attuale Ministro della Cultura nel governo del presidente Lula, viene descritto come "un mulatto abbastanza nero da essere considerato nero anche a Salvador de Bahia".
Si scoprono davvero tante piccole e grandi cose sul Brasile, in questo libro, come ad esempio che la musica è qui l'espressione artistica considerata più importante, forse anche più della stessa letteratura. L'aeroporto di Rio de Janeiro, tanto per dirne una, è intitolato a Antônio Carlos Jobim, detto Tom Jobim, il più venerato autore di samba e bossa nova.
Si tratta insomma di una lettura altamente consigliabile a chiunque voglia conoscere meglio il Brasile, la sua cultura e, soprattutto, la sua musica, specie ora che il grande paese sudamericano - che ama definirsi il quinto del mondo, perché è tale sia per la superficie che per la popolazione - si sta sempre più imponendo all'attenzione del resto del mondo, anche grazie alla sua economia in rapido sviluppo.
Finito il libro, ho provato la voglia irresistibile di ascoltare i vari stili e canzoni di cui si parla e per fortuna oggi abbiamo a disposizione sulla nostra scrivania una specie di macchina del tempo, data dagli archivi video disponibili su Internet, ad esempio su YouTube.
È così che ho potuto vedere il festival televisivo di Tv Record dove Maria Odete cantò nel 1966 Um dia, canzone di Veloso che gli fruttò il premio per il miglior testo. Ed è così che ho potuto vedere quanto è bello ed affascinante il samba-jazz di Gal Costa o scoprire il fascino delle canzoni più recenti di Veloso, come Sozinho, o scoprire la musica axé di Daniela Mercury e le canzoni di Adriana Calcanhotto.
Ho quindi inserito nella recensione dei riferimenti diretti ad alcuni video su YouTube, per condividere con chi legge la bellezza limpida di questa musica che tocca il cuore.
Un riferimento a parte lo merita la lingua portoghese, sia nella sua versione europea che in quella brasiliana, con cui sono entrato in contatto per forza di cose, volendo capire il significato delle canzoni. La prima impressione è molto bella: sembra calda e latina a tutti gli effetti, ma tende alla chiarezza, al nitore, alla sintesi, sembra possedere una logica ed una razionalità quasi anglosassoni. Insomma, calda e razionale, cuore e cervello insieme.
Non so se avrò tempo per impararla, ma è una gran bella lingua. Un personaggio Ho ricostruito, usando sia la biografia di Veloso che notizie trovate su Wikipedia e sul sito del giornale Folha de São Paulo, la storia di uno dei personaggi del libro. José Agrippino de Paula, noto a tutti come Zé Agrippino, fu il vate del movimento tropicalista, amante della beat generation americana e assiduo sperimentatore delle sostanze psicotrope. Visse per molto tempo insieme alla inseparabile compagna, la ballerina, coreografa ed autrice di testi teatrali Maria Esther Stockler, il che non impedì loro di aggiungere alla famiglia l'amica Maria do Rosário.
Sarà probabilmente ricordato soprattutto per il suo secondo romanzo, Panamérica, (il primo è stato Lugar Público), scritto nel 1967 in uno stile sperimentale. Narra, ma è un pretesto, la storia di un regista che deve mettere in scena degli episodi della Bibbia e sceglie come protagonisti i miti della cultura di massa moderna: Marlon Brando, Marilyn Monroe, Che Guevara, ecc., i quali descrivono in prima persona le loro avventure prive di logica. Come dire: ecco la nuova mitologia, i semidei che fanno capolino ogni giorno dagli schermi della televisione e sui manifesti pubblicitari.
Nonostante fosse così innovativo, o forse proprio per questo, Panamérica è stato finora quasi ignorato, tanto da non essere tradotto in nessuna altra lingua, ma è anche divenuto uno dei libri più citati, quando si parla di cultura brasiliana.
Grande viaggiatore, specie in Sud America, in Africa ed in Europa, Agrippino ebbe una figlia, Chara, da Maria do Rosário ed un'altra, Manhã, da Maria Esther, per separarsi infine da lei e tornare a vivere insieme a sua madre. Ma a questo punto la sua vita cambia, diviene violento e distrugge ogni apparecchio radio e televisivo in cui si imbatte. Gli viene diagnosticata la schizofrenia e da quel momento vivrà da solo, dedicandosi alla sola scrittura.
Non esce dal suo mondo neanche quando la sua adorata figlia Manhã, giovane aspirante attrice, muore in un incidente automobilistico. Maria Esther è morta nel 2006, per un tumore che non ha provato minimamente a curare, mentre Zé Agrippino è morto per un infarto il 4 luglio del 2007, lasciando oltre cinquecento quadernoni pieni di appunti, romanzi e testi di teatro. Ora, una casa editrice francese ha deciso infine di tradurre Panamérica e sicuramente per molto tempo vedremo pubblicare i suoi scritti postumi.


Alcuni brani:
 
Il libro è così denso che è difficile scegliere cosa citare, ma ecco comunque...
 
Lo disco spesso: se fosse dipeso da me Elvis Presley e Marilyn Monroe non sarebbero mai diventati delle star. Sono stato io, ciò nonostante, il primo a menzionare la Coca-Cola in una canzone brasiliana, non senza causare un certo scandalo. Nella seconda metà degli anni cinquanta, a Santo Amaro erano ben pochi i ragazzi e le ragazze affascinati dalla vita americana nell'era del rock'n'roll, o che cercavano di uniformarsi a quel modello.
 
Quanto avevo sei o sette anni, sul finire degli anni quaranta, una delle tante zie che abitavano con noi (questa all'epoca era sulla trentina) mi disse, tra il divertito e l'irritato, con quella sincerità noncurante con cui ci si sfoga con i bambini: "Ah, figlio mio, io avrei voluto abitare a Parigi e fare l'esistenzialista".
 
In questa cittadina bella e piacevole io conducevo una vita tranquilla, circondato da una famiglia grande e affettuosa. Ciò nonostante, il fatto di avere sempre sotto gli occhi tanta povertà mi portava a mettere tutto in discussione: mi era difficile accettare le abitudini e i valori consolidati.
 
A Santo Amaro erano regolarmente in programmazione film francesi e italiani. Anche messicani. [...] All'inizio della nostra adolescenza, la principale attrattiva dei film francesi era rappresentata dalle intimità erotiche che contenevano: un seno di donna, una coppia sdraiata in un letto di ferro, esplicite allusioni alla vita sessuale dei personaggi - tutte queste cose, mai viste in un film americano, i film francesi le offrivano con naturalezza. Ma il cinema italiano, mentre il tempo passava e noi crescevamo, ci interessava sempre più a causa della sua "serietà": di fronte al neorealismo reagimmo con l'emozione di chi riconosce i tratti del quotidiano nelle immagini luminose e gigantesche delle sale cinematografiche.
Uno degli avvenimenti che maggiormente hanno segnato la mia formazione personale è stato la proiezione di La strada di Fellini, una domenica mattina al Cine Subaé (c'erano matinée tutte le domeniche, in questo che era il migliore - l'unico con il cinemascope - dei tre cinema di Santo Amaro). Piansi tutto il giorno, e non riuscii a mandar giù nemmeno un boccone. Da allora cominciammo a chiamare Minha Daia "Giulietta Masina". Il signor Agnelo Rato Grosso, un mulatto tarchiato e ignorante che faceva il macellaio e suonava il trombone nella Lira degli Artisti (una delle due bande musicali della città - l'altra si chiamava Figli di Apollo), fu sorpreso da me, Chico Motta e Dasinho mentre piangeva all'uscita di un altro film di Fellini, I vitelloni. Un po' imbarazzato, si soffiò il naso sul colletto della camicia e disse a mo' di giustificazione: "È proprio come la nostra vita!".
 
A Santo Amaro, noi cultori di João Gilberto ci incontravamo di fronte a un bar piuttosto modesto: si chiamava bar de Bubu, dal soprannome del suo proprietario, che era nero e grasso. Lui aveva comprato il primo ellepì di João, Chega de Saudade ["Basta con la nostalgia"] - il disco d'esordio del movimento - e lo metteva di continuo. Innanzitutto perché piaceva a lui, e secondariamente perché sapeva che noi andavamo lì per ascoltarlo. Eravamo un gruppetto: quattro o cinque ragazzi del ginnasio che non avevano i soldi per comprare il disco.
 
Salvador viveva a quell'epoca un periodo di intensa attività culturale, grazie alla decisione dell'allora rettore dell'Università Federale di Bahia, il dottor Edgar Santos, di aggiungere alle attività accademiche delle facoltà convenzionali le scuole di musica, danza e teatro, e di affidare la responsabilità di queste scuole ai più radicali sperimentatori, offrendo così ai giovani della città una panoramica piuttosto vasta. Fu a questo modo, per me estremamente eccitante, che l'intelligenza e la sensibilità di Bethânia si aprirono quella sera della Storia di Tobia e di Sara, nel piccolo ma perfettamente attrezzato Teatro Santo Antônio, il palcoscenico ufficiale della scuola. [...] Fu così che in Bethânia nacque il desiderio di fare l'attrice.
 
Nonostante l'entusiamo con cui partecipavo ai concerti del Teatro Vila Velha - cantando, suonando un po' la chitarra e, soprattutto, dando idee in qualità di "direttore generale" (i direttori musicali erano Gilberto Gil e Alcivando Luz) -, non avrei mai pensato di diventare un cantautore professionista. Andando a Rio con Bethânia, però, divenne quasi inevitabile.
 
Se il Tropicalismo si deve, in qualche misura, ai miei atti e alle mie idee, dobbiamo allora considerare come scintilla esplosiva del movimento l'impatto che il film Terra in trance di Glauber Rocha, ebbe su di me nel mio soggiorno a Rio tra il 1966 e il 1967. [...] Glauber Rocha, il giovane regista baiano, era diventato ormai un personaggio di primo piano nel mondo culturale. Dopo Barravento, quando ancora viveva a Bahia, aveva colpito critici e registi europei con Il dio nero e il diavolo biondo, un film pieno di selvaggia bellezza che ci aveva fatto intravedere la emozionante possibilità di un gran cinema nazionale. Nel '66, poco prima che vedessi Terra in trance, Rogério mi aveva presentato allo scrittore paulista José Agrippino de Paula. [...] Zé Agrippino opponeva le icone della cultura di massa americana all'intellettualismo del nostro giro bohémien. Ma dietro a questo atteggiamento iconoclastico agiva soprattutto la volontà di valorizzare gli scrittori di lingua tedesca (in particolare Kafka e Musil, ma credo di averlo sentito parlare anche di Hölderlin, e sicuramente di Heidegger e Nietzsche) e di lingua inglese (Joyce, Melville e Swift; Kerouac, Ginsberg e la beat generation).
 
Zé Agrippino sembrava un uomo delle caverne, con la sua barba nera e la sua imponenza fisica. Non dispensava mai i sorrisi convenzionali che ci si scambia quando gli sguardi si incontrano casualmente e spesso questo mi metteva a disagio. Ma non era scortese o grossolano e quando un sorriso gli affiorava alle labbra era tanto più prezioso perché così raro e soprattutto carico di significato perché realmente sincero. Naturalmente la sua fidanzata, Maria Esther Stockler, anche lei di São Paulo, condivideva questa decisione di non fare concessioni ai riti tradizionali della convivenza piccolo-borghese. Lei, ancor più di lui, era autenticamente aristocratica, una costante lezione sulla vera eleganza, la dimostrazione vivente di come e perché qualcosa normalmente considerato volgare - la lunghezza di una gonna, un colore, un gesto - poteva essere, alla fine, il miglior esempio di raffinatezza. Faceva la ballerina ed apparteneva a una ricca famiglia di São Paulo. [...] Lei e Agrippino leggevano riviste in inglese e, a differenza di Rogério, non usavano mai parolacce o espressioni gergali. Parevano stranieri (nonostante Agrippino fosse un tipo molto brasiliano, mentre lei sembrava un'oriunda del Caucaso), o arrivati da un'altra epoca: lui paleolitico, lei prerinascimentale, tutti e due futuristici.
 
Il 2002 [numero dell'appartamento a San Paolo NdV], con il suo manichino in fibra di vetro e i suoi mobili in acrilico trasparente, diventava sempre più animato. Gil era sempre lì. I Mutantes e, naturalmente, Guilherme, che viveva due piani sotto, pure. Zé Agrippino e Maria Esther si facevano vedere ogni tanto. Waly e Duda erano arrivati da Rio e vivevano con noi. Io li ascoltavo molto. Specialmente Duda, che continuava ad avere un fortissimo ascendente su di me. Consideravo utile quello che stavo cercando di realizzare, ma intellettualmente poco rilevante se paragonato a ciò che loro, molto più colti e mentalmente pronti di me, avrebbero fatto. Dedé scherzava dicendo che erano i nostri consulenti. Ci sembrava bello il fatto che guadagnassi abbastanza da potermi permettere un appartamento ampio dove ospitarli, mentre loro ancora non facevano i film né scrivevano i libri che ci avrebbero reso una generazione indimenticabile nella storia della cultura brasiliana. Chiacchieravamo sino a notte fonda, bevendo birra, e Dedé e io eravamo orgogliosi che casa nostra fosse la sede di queste indimenticabili serate.
 
Noi brasiliani abbiamo tutti l'impressione che il nostro paese, semplicemente, sia privo di senso pratico. Come un padre onesto e generoso che rispettiamo, ma che non ha capito come si fanno i soldi e che non riesce a trovare un lavoro fisso, che perde grandi opportunità si ubriaca e si mette nei guai. Il nome del Brasile non soltanto mi sembra, per tanti motivi, bello, ma mi ha sempre dato una rappresentazione interna unitaria e soddisfacente. [...] Quasi tutti erano visibilmente meticci. Non era una vergona che il paese fosse povero (ma facevo il tifo perché si arricchisse). Ci ritenevamo pacifici, affettuosi e puliti. Era impensabile che qualcuno nato qui volesse vivere in un altro paese.
La nascita del Tropicalismo, dentro di me, fu un processo doloroso. Lo sviluppo di una consapevolezza sociale, poi politica ed economica, combinata a esigenze esistenziali, estetiche e morali che mi facevano mettere tutto in discussione, mi portò a riflettere sulle canzoni che ascoltavo e componevo. Ciò che prese il nome di Tropicalismo rompeva in maniera violenta con un gusto maturato nel tempo e difeso con lucidità.
 


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di Jobim e Vinicius de Moraes

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musica di Tom Jobim, testo di Vinicius de Moraes

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2 dicembre 2007