Alcuni brani:
In principio era il nulla. E questo nulla non era né vuoto né vacuo: esso
nominava solo se stesso. E Dio vide che questo era un bene. Per niente
al mondo avrebbe creato alcunché. Il nulla non solo gli piaceva, ma
addirittura lo appagava totalmente.
Gli occhi degli esseri viventi possiedono la più straordinaria delle proprietà: lo sguardo.
Nulla è più eccezionale dello sguardo. Quando parliamo delle orecchie delle creature
non diciamo che hanno un 'ascoltardo', oppure, delle loro narici, che hanno un
'sentardo' o un 'annusardo'.
Cos'è lo sguardo? E' qualcosa di inesprimibile. Nessuna parola esprime, neanche
lontanamente, la sua strana essenza. Eppure lo sguardo esiste. Poche sono le realtà
che hanno un tale livello di esistenza.
"Tutto scorre", "tutto è movimento", " non ci si immerge mai
due volte nello stesso fiume", ecc. Il povero Eraclito si sarebbe suicidato se
avesse incontrato Dio, la negazione della sua visione fluida dell'universo. Se il
tubo avesse posseduto una forma di linguaggio, avrebbe ribattuto al pensatore di Efeso:
"Tutto è immobile", "tutto è inerzia", "ci si immerge sempre
nello stesso pantano", ecc.
Lo sguardo è una scelta. Chi guarda decide di soffermarsi su una determinata cosa e
di escludere dunque dall'attenzione il resto del proprio campo visivo. In questo
senso lo sguardo, che è l'essenza della vita, è prima di tutto un rifiuto.
Vivere vuol dire rifiutare. Chi accetta ogni cosa non è più vivo dell'orifizio di
un lavandino.
Dio sa che dopo il viso cercherà di tendere una mano verso di lui. Ci è abituato:
gli adulti avvicinano sempre le loro dita alla sua faccia. Decide che morderà
l'indice della sconosciuta. Si prepara.
Appare infatti una mano nel suo campo visivo, ma - stupore! - ha una barretta
biancastra tra le dita. Dio non ha mai visto una cosa del genere e si dimentica
di gridare.
- E' cioccolato bianco del Belgio, - dice la nonna al bimbo che ha appena
scoperto.
Di queste parole Dio capisce solo 'bianco': sa cos'è, l'ha visto sul latte e
sui muri. Gli altri vocaboli gli sono sconosciuti: 'cioccolato' e soprattutto
'Belgio'. Intanto la barretta è accanto alla bocca.
- Si mangia, - dice la voce.
Mangiare: Dio sa cos'è. E' una cosa che fa spesso. Mangiare è il biberon, il
puré con pezzetti di carne, la banana schiacciata con la mela grattugiata e
il succo d'arancia.
Mangiare ha un odore. Questa barretta biancastra ha un odore che Dio non conosce.
Ed è migliore del sapone e della pomata. Dio ne ha paura e voglia allo stesso
tempo. Smorfia di disgusto e acquolina in bocca.
Con un'impennata di coraggio acchiappa la novità coi denti, la mastica, ma non
serve: si fonde sulla lingua, tappezza il palato, gli riempie la bocca - e accade
il miracolo.
La voluttà gli dà alla testa, gli lacera il cervello e vi fa rimbombare una voce che
non aveva mai sentito prima:
"Sono io! Sono io, vivo! Io parlo! Non sono né 'egli' né 'lui', io sono io!
Non dovrai più dire 'egli' per parlare di te, dovrai dire 'io'. E io sono il tuo
migliore amico: io ti procuro il piacere."
E' stato allora che sono nata, nel febbraio del 1970, all'età di due anni e mezzo,
sulle montagne del Kansai, nel villaggio di Shakugawa, sotto gli occhi di mia
nonna paterna, per grazia del cioccolato bianco.
L'analisi dell'edificante linguaggio altrui mi portò a questa conclusione:
parlare era un atto di creazione ma anche di distruzione. Era meglio starci
molto attenti, con questa invenzione.
Ero giapponese.
Nella provincia del Kansai, a due anni e mezzo, essere giapponese significava
vivere nel cuore della bellezza e dell'adorazione. Essere giapponese significava
abbuffarsi dei fiori esageratamente profumati del giardino molle di pioggia, sedersi
sullo sfondo dello stagno di pietra a guardare, in lontananza, le montagne grandi
come l'interno del proprio petto, prolungare dentro di sé il canto mistico
del venditore di patate dolci che attraversa il quartiere all'imbrunire.
Avere tre anni non offriva veramente nulla di buono. I Nipponici avevano ragione a
situare a questa età la fine dello stato divino. Qualcosa era andato perso,
- di già! - la cosa più preziosa di tutte e impossibile da recuperare: una
forma di fiducia nella benevola perennità del mondo.
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