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Il rischio americano

Saggio - Sergio Romano - Italia - 2003


Sergio Romano, ex ambasciatore italiano, utilizza la sua grande esperienza nelle relazioni internazionali per scrivere dei saggi estremamente interessanti, dove la profondità dell'analisi si coniuga in maniera esemplare alla sintesi ed alla chiarezza espositiva.
Il tema di questo libro è l'America ed i suoi rapporti con il mondo. Dopo averci riassunto le varie tendenze che gli Stati Uniti hanno avuto, in questo contesto, durante la loro breve storia, l'autore si sofferma sugli eventi degli ultimi anni: la fine della guerra fredda, le presidenze di Bush sr. e di Clinton, l'11 settembre, la guerra in Afghanistan e la presidenza di Bush jr.
Ma forse il capitolo più interessante è quello finale, dove si delinea un possibile nuovo ruolo per l'Unione Europea nello scenario mondiale.


Alcuni brani:
 
Alcuni brani: La guerra fredda tra due blocchi nucleari e militarmente "simmetrici" fu uno dei peggiori momenti della storia europea, soprattutto per coloro che ebbero la sventura di nascere a est del sipario di ferro. Ma presentò due vantaggi. In primo luogo, dette all'Europa cinquant'anni di pace. In secondo luogo, fissò alcuni limiti entro i quali gli Stati Uniti avrebbero esercitato il loro potere.
 
Capimmo subito che gli Stati Uniti erano ormai, dopo il collasso dell'impero sovietico e la disintegrazione dell'URSS, la sola grande potenza mondiale. Ma non capimmo quale uso avrebbero fatto dello straordinario potere che la fine della guerra fredda aveva depositato nelle loro mani.
 
Gli attacchi alle Torri gemelle, al Pentagono e quello progettato alla Casa Bianca furono gesti clamorosi, meticolosamente preparati da un regista che voleva colpire l'America e sbigottire il mondo.
 
Un terzo fattore, infine, moltiplicò gli effetti degli attentati: l'improvvisa constatazione che gli Stati Uniti erano vulnerabili.
 
Tutti sapevano che gli "studenti di Dio" erano stati allevati nei campi dei rifugiati afghani in Pakistan all'epoca della guerra contro l'invasione sovietica e che la politica americana verso l'Afghanistan, quando avevano conquistato la capitale, era stata per molto tempo tollerante o condiscendente. Ma non era quello il momento per sottili disquisizioni sulle responsabilità storiche degli Stati Uniti. Di fronte ad un pessimo regime che tagliava mani e teste nello stadio di Kabul, trattava le donne come schiave, prendeva a cannonate i giganteschi Buddha scolpiti nella roccia di Baitan ed era diventato il quartier generale della peggiore organizzazione terroristica mondiale, la guerra appariva come una prospettiva razionale.
 
Chi inizia una guerra lo fa per eliminare un avversario o un problema e si accorge ben presto di avere di fronte a sé nuovi avversari e nuovi problemi, più minacciosi e intricati di quelli di cui voleva sbarazzarsi. Le guerre, quindi, non sono mai né utili né opportune. Possono essere, tuttavia, necessarie. Occorre resistere alle intimidazioni senza offrire l'altra guancia, ma iniziare una guerra soltanto in stato di necessità, quando ogni altra prospettiva appare irrealistica e impraticabile.
 


7 settembre 2004