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Vinicio Coletti presenta

La loggia degli innocenti

Romanzo - Michele Giuttari - Italia - 2005


Questo romanzo giallo è stato davvero una piacevole scoperta. Piacevole per il modo in cui è scritto, innanzitutto: un italiano scorrevole e concreto, descrittivo e fattuale - come ci si aspetta dal genere - ma non privo di sfaccettature e di variazioni di stile, che seguono docilmente le esigenze narrative.
E' piacevole, poi, che sia ambientato in Italia, non per una mera questione di amore verso il proprio Paese, ma perché ciò rende la storia - con i luoghi, i cognomi, le situazioni - più viva e reale, legata alle vicende che se anche non viviamo direttamente, seguiamo spesso con apprensione sui nostri giornali.
E d'altra parte non potrebbe essere altrimenti, visto che il protagonista, il commissario Michele Ferrara, capo della Squadra Mobile di Firenze, è palesemente l'alter ego dell'autore, Michele Giuttari, funzionario della Polizia di Stato che in passato ha ricoperto proprio questa carica; e proprio a Firenze.
Giuttari conosce dunque molto bene gli ambienti che descrive, i metodi d'indagine, le difficoltà che ogni investigatore deve superare per riuscire a ricostruire il puzzle che si cela dietro ogni delitto. Ma se fosse solo un bravo poliziotto, avremmo come risultato un resoconto piatto e noioso, di quelli che, come da copione, essi odiano scrivere alla fine dell'indagine, mentre qui ci troviamo di fronte ad uno che sa anche scrivere bene, come dicevo, che sa organizzare il materiale narrativo per ottenere un sicuro effetto di suspence sul lettore.
Quanto alla storia, ovviamente non è bene raccontarla tutta, altrimenti toglierei al lettore il gusto della scoperta, ma la parte iniziale penso si possa accennare senza problemi. Nei dintorni di una Firenze affogata nel caldo estivo viene rinvenuta una ragazza molto giovane, forse solo 12 o 13 anni, senza documenti e in fin di vita per overdose. Portata in ospedale, muore di lì a poco, senza mai riprendere conoscenza. Nessuno sa chi sia, nessuno la cerca, forse è un'immigrata clandestina. Mentre si occupa di questo caso, il commissario viene sconvolto dalla contemporanea scomparsa del suo migliore amico ed inizia così ad occuparsi di entrambe le vicende. Durante l'inchiesta, scoprirà cose terribili, ma molto italiane.


Alcuni brani:
 
Della ragazzina, forse solo una bambina, il commissario Ferrara, capo della Squadra Mobile di Firenze, cominciò ad occuparsi quasi una settimana dopo che fu trovata all'alba di domenica 29 luglio ai margini di un bosco sulla strada sopra Scandicci sommariamente vestita, priva di documenti e in fin di vita per overdose. Era stata portata all'Ospedale Nuovo e ricoverata con prognosi riservata.
 
Petra aveva messo le Arie italiane cantate da Cecilia Bartoli nello stereo per accompagnare la cena, e gli andava bene. C'era un che di struggente nell'aria che lo invitava alle confidenze, e si sentiva in vena di confessioni.
"Lo sai che penso?" le disse mentre sorseggiava il Pinot Grigio della Terra dei Forti. Dalla strada giungeva il frastuono della città, attutito dal fruscio delle foglie del pergolato.
"Cosa, Michele?" domandò lei premurosa come sempre.
"Che sono isolato. Non appartengo."
"Che vuoi dire?"
"Non lo so esattamente. Ma è come se in questo paese tutti facessero parte di qualche cosa: la chiesa, un partito politico, la mafia, la 'ndrangheta, la massoneria... Io niente. La polizia, sì. Ci credo. Ma basta? Poi scopri che forse il questore è soggetto alle pressioni di chissà chi, il tuo migliore amico magari è un massone, il sostituto procuratore dipende dalle disposizioni di un organo superiore che noi neanche immaginiamo che ci sia, e io... io sono lì, in mezzo, come un birillo in un gioco di bocce in cui non ho nessun controllo".
 
Grazia Barbieri incominciò il racconto della giornata di sabato, quando a metà mattinata era giunto alla villa Ugo Palladiani che lei aveva visto pochissime altre volte nei cinque anni in cui era stata a servizio da Simonetta.
"Una visita inaspettata, che lei non gradì"
"Perché?... cosa si dissero?" domandò il commissario.
"Incominciarono subito a litigare. Ho capito solo qualche parola perché in quel momento andai in un'altra stanza... sentii che si misero a gridare e che Simonetta lo rimproverava accusandolo tra l'altro di essere arrivato senza averla avvisata prima".
 
Lo condusse verso il fianco della montagna tagliato a gradoni dove un gruppo di operai stava lavorando un blocco per estrarlo.
L'operazione era affascinante. Le macchine da taglio segavano il marmo come fosse burro, sollevando nuvole di polvere bianca come borotalco.
Il vecchio si avvicinò a un mucchio e tirò su una manciata che gli porse. Ferrara ne prese un pizzico con le dita e la fece scorrere sui polpastrelli. Avrebbe potuto essere eroina, o cocaina pura.
"Più o meno è questa roba qui" spiegò Franchi alzando la voce per sovrastare il rumore delle seghe. "Solo che questa, il residuo della lavorazione, non va bene perché è sporca. Il filo diamantato che taglia il marmo nel processo si consuma contaminando la polvere vera e propria. Perciò si usa quella ricavata dai detriti che vengono appositamente macinati."
 


16 settembre 2005