Amando da sempre il cinema, ma non essendo un cinefilo professionista, se penso alla cinematografia messicana
mi vengono in mente alcuni dei primi film di Luis Buñuel, quelli che vedevo nei cinema d'essai di
Roma durante l'adolescenza, quando frequentavo il liceo scientifico.
Alcuni decenni dopo ho deciso di vedere questo film, durante il festival di Roma, ed è stata una buona scelta.
La storia qui raccontata è molto semplice: una donna vive da sola e lavora in una radio locale di Città
del Messico. Ogni tanto va a trovare sua madre, anziana ma non troppo, che per tutta la vita si è dedicata all'erboristeria,
porta a scuola suo figlio ed ogni tanto il bambino va a trovare il padre separato, che fa l'entomologo.
La madre inizia a mostrare degli strani sintomi e le analisi mediche scoprono che ha l'Alzheimer. I sintomi si aggravano
sempre di più, finché la donna diventa incapace di badare a se stessa.
Il tema centrale del film quindi è quello della malattia e dell'Alzheimer, ma ciò che conta davvero è lo stile del racconto.
Il ritmo è lento, molto lento, come le giornate passate nella periferia verde di una metropoli enorme, ogni avvenimento più che
osservato va intuito ed i piccoli fatti quotidiani si alternano alle schede delle piante officinali che la madre
coltiva nel suo giardino e che ha studiato per tutta una vita, in un schema che mescola pragmatismo e sogni.
Chissà se una di queste piante può curarla, se la polpa di un cactus o un unguento ricavato da un fiore... ma naturalmente
sono speranze vane - non c'è qui nessuna retorica naturista e la perdita delle capacità sensoriali procede senza scampo.
Questo è anche un film sostanzialmente tutto al femminile, sia perché il centro del racconto è il rapporto tra madre e figlia, sia
perché gran parte del cast è fatto da attrici: la madre, la figlia, la vicina di casa che ha perso una nipote, uccisa nel giorno del suo
compleanno, le donne che chiacchierano mentre stendono la biancheria sul terrazzo comune, e così via.
Tutte talmente brave, innanzitutto le due protagoniste, che il premio come miglior attrice in questa edizione del festival è
andato proprio a tutto il cast femminile di questo film.
Presenti alla proiezione la regista, María Novaro ed una delle protagoniste, Úrsula Pruneda, che nel film intepreta
Dalia, la figlia che si prende cura della madre malata, interpretata dalla bravissima Ofelia Medina.
Ciò che ho apprezzato di più in questo film è proprio lo stile del racconto, indiretto, onirico, lento, tale da farti pian
piano scivolare all'interno di un mondo, di cui finisci per assorbire ogni scena, ogni colore, ogni suono. Probabilmente
è l'unico film del festival che mi ha davvero commosso.