Finalmente, ad inizio 2011, è stato pubblicato l'ultimo album di Patrizia Laquidara,
intitolato "Il canto dell'Anguana". Dico finalmente, perché il disco ha avuto una
gestazione lunga e complicata, con vari annunci riguardanti la sua pubblicazione che
partono da fine 2009. E' chiaro che la vita non è facile, per chi, come Patrizia, non
ha nessuna intenzione di cedere alle lusinghe del mercato della musica leggera e
preferisce seguire un suo percorso, rigoroso, colto ed affascinante.
L'ispirazione dell'album viene dalle tradizioni e dai miti del Veneto, terra di
adozione per la cantante, nata a Catania, ma trasferitasi da bambina nelle brume
dell'alto vicentino. E' proprio con la musica veneta e lombarda che la Laquidara ha
esordito molti anni fa e questo è quindi un po' un ritorno alle origini, dopo
la passione per la musica portoghese, brasiliana e mediterranea, con album come
"Para voce querido Cae", "Indirizzo portoghese" ed il mai troppo lodato "Funambola".
Un ritorno, favorito dalla collaborazione con il poeta vicentino Enio Sartori, autore
dei testi, che però non implica una chiusura dentro gli angusti spazi del folk
o peggio ancora dentro una visione regionalista e xenofoba. Rimane anzi tutta
la curiosità per gli altri, le altre culture, le altre lingue, le usanze ed i modi
di essere: parlare di sé, della propria terra e della propria lingua, come mezzo
per incontrare meglio le altre genti, in un mondo dove i popoli si mescolano senza posa.
L'album contiene undici brani, tutti molto belli, di cui converrà dare una breve
descrizione.
"Ah jente de la me tera" inizia l'album con parlata veneta e ritmi e melodie zingare,
con la voce di Patrizia che esprime bene le sue grandi possibilità ed il ritornello
che parla del "canto dell'aguana", questo personaggio femminile dei boschi e delle
sorgenti, simile alle sirene o agli elfi.
Segue la più melodicamente veneta "L'aqua fiorìa", leggera e sognante, che racconta
storie di anime in pena e dame bianche, di attesa e desìo sul fil della lama.
La canzone seguente, "La fumana", inzia con un coro a cappella delle "canterine del Feo",
un gruppo di vecchie signore di una contrada vicentina, a quanto pare molto inclini al
canto, ma subito si trasforma in una canzone melodica molto sofisticata dove si canta
della nebbia che sale dal basso: De bonora la fumana / la vien su dal basso / e la smagna l'orlo /
de la piana infumegada. Nebbia veneta, certo, ma nell'armonia della canzone si sente
un po' di Brasile che fa capolino, anche se in modo molto discreto.
Segue "Regina d'ombrìa", un'altra canzone in bilico tra melodie italiane e ritmi e
timbri balcanici. Stanote ze na note da robàr le done / e la luna come la ze ciara,
inizia la canzone che ci parla di una regina dell'ombra che cavalca nella notte.
Abbiamo poi la bella ninna nanna "Dormi putìn", lieve e romantica come deve essere:
Sara i oci bel putìn / e ti anzoleto santo / consola el so pianto / pria che me desfanto.
Come netto contrasto c'è poi "L'anema se desfa" che è una canzone molto ritmata e potente,
che dal vivo spesso Patrizia esegue con un piglio molto deciso. Dissolversi nell'acqua,
nel vento, nel niente, non per finire ma per sentirsi una parte del tutto, un elemento
dell'universo, dove persino l'anima si scompone nell'incontro con il mondo.
La successiva "Nota d'Anguana" è un'altra ninna nanna, almeno inizialmente, perché
poi diviene una canzone melodica, con un ritornello ritmico ed affascinante.
Arriviamo quindi a "Livergòn", il nome di un torrente, dove il tema è quello della
emigrazione:L'è andà de pressa sem scapà / par fame e guere qua e là / so ste carete
sem montà / verso contrà foreste.
"Tiketetanda" è invece una specie di filastrocca, basata soprattutto sul suono delle
parole, cosa che è vera in parte anche per la seguente "La tita tata", dove però
si sente anche una fisarmonica quasi argentina, cori popolari, flauti tzigani e
il trotto di un cavallo che non c'è.
Chiude infine l'album "Canto dei battipali", un canto tradizionale della laguna veneta,
che acquista qui pathos e ritmo, sottolineati dalla bella voce di Patrizia, e che
termina in una festa di colori musicali.
Non manca una sopresa finale: in coda all'ultimo brano, dopo alcuni secondi
di silenzio ed in un brano non elencato, tornano le canterine del Feo a proporci uno dei loro cori.
Insomma, ci troviamo di fronte ad un album sofisticato e ben costruito, dove la ricerca
sulle tradizioni musicali si sposa con il gusto dell'invenzione e della commistione di
stili.
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